martedì 27 maggio 2008

Riflessioni sull'Assemblea Nazionale

di Luigi Sasso, vice presidente diocesano dei Giovani

Il peso di un'assenza

Lo ammetto, ritornare in Azione Cattolica dopo un periodo di vuoto associativo da parte mia ed essere proiettato verso una responsabilità così importante come quella di partecipare come delegato all'Assemblea Nazionale in alcuni momenti mi ha quasi spaventato. Più precisamente, temevo che l'essere stato lontano dall'associazione per un certo tempo avrebbe potuto pregiudicare la mia competenza rispetto alle questioni che sarebbero state oggetto di discussione. Questi timori, da un certo punto di vista, erano, e sono ancora adesso, fondati. Azione Cattolica è un'associazione caratterizzata dall'impegno e dal sacrificio quotidiano: rimanerne fuori anche solo per un breve periodo e poi ritornarci, sia pure con tutto l'entusiasmo possibile e necessario, mi ha dato – mi rendo conto che per altri potrebbe essere diverso – la dimensione di quanto questa assenza abbia avuto un peso nella mia formazione rendendo, per certi versi, il mio cammino una sorta di “incompiuta”.

Questi pensieri, però, sono stati confortati sin da subito e, cioè, sin dal primo (centrale) momento assembleare: la relazione del Presidente Luigi Alici. Che il nostro Presidente fosse un uomo di cultura profonda e raffinatissima era cosa nota a tutti; tuttavia, il profilo spirituale della sua riflessione ha sorpreso non soltanto me, ma un po' tutta la platea di delegati ed uditori. Certo, in un primo momento, l'alto taglio intellettuale che il Presidente ha dato alla sua relazione ha quasi intimidito l'uditorio che si è trovato in difficoltà nel cogliere l'opportunità di molti richiami filosofici e letterari; ma questo non ha impedito, nel prosieguo, di comprendere le parole di speranza e di amore che hanno costituito i passaggi fondamentali del discorso.

Il coraggio della ragione, la forza della fede

Il primo importante richiamo è stato quello al libero e corretto uso della ragione: non troppo “forte”, tale da alimentare conflitti, ma neppure troppo “debole”, costretta a soccombere per la propria rinuncia a distinguere “il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, la persona dall'animale, l'uomo dalla donna, il matrimonio dalla convivenza”. Tutto questo, sicuramente, può sembrare scontato: eppure non sempre ricordiamo che è proprio questa la radice del relativismo morale che noi cattolici siamo chiamati a sfidare. La principale ragione per cui non sempre siamo capaci di operare le distinzioni sopra indicate è – ancora una volta utilizzando le parole del Presidente – “una rete, subdola e pervasiva, di strutture di peccato”. Quando – anche e soprattutto – gli strumenti più comuni del nostro vivere quotidiano concedono ogni giorno qualcosa di più alla volgarità, all'insulto, all'offesa al pudore di chi guarda, legge e ascolta, comprendere dove sia la linea di distinzione tra giusto e sbagliato diventa praticamente impossibile se non si hanno chiari i veri punti cardinali. Sembra quasi scontato che la risposta a questi problemi vada cercata e ritrovata nel Vangelo. Il Vangelo, però, non può diventare “innocuo galateo simbolico, politicamente corretto”, ma deve essere l'elemento di riconoscimento che ci distingue dalla mediocrità senza valori.

Contemplazione e azione

Da questo punto parte il secondo richiamo, quello alla contemplazione e alla spiritualità: è la tensione tra contemplazione ed azione che deve caratterizzare non solo la vita delle “nuove famiglie religiose”, ma soprattutto di chi “è chiamato ad operare nel secolo con tutta l'agitazione, i rischi e il fardello del temporale”: insomma, la vita di noi laici. In questa tensione tra spiritualità ed azione non possono esserci prevalenze: come discepoli di Gesù, non possiamo lasciare che il messaggio evangelico si esaurisca in una litania, ma neppure possiamo realizzare opere senza che ciò avvenga proclamando la parola del Signore. Il Presidente ci ricorda che “Gesù non ci consegna un prontuario che mette sullo stesso piano la fede e le opere determinate analiticamente. Non è la lettera che ci salva, ma lo Spirito! Egli ci dice: Io vi porto Dio. Entrate nella Chiesa, in comunione piena con me, nascete una seconda volta, se volete essere cittadini degni del Vangelo”. Non credo che a queste parole ci sia molto da aggiungere, forse soltanto che bisognerebbe ricordare più spesso che il vero volto di Dio è la Misericordia e in questo più che in qualsiasi altra cosa è necessario sforzarci di assomigliare a Lui.

Venite vicino, andate lontano”,

questo è il messaggio centrale e definitivo della relazione del Presidente. Richiamando l'espressione che Papa Paolo VI utilizzò in un discorso ai delegati vescovili e ai presidenti diocesani di AC, la nostra Guida ci ha voluto ricordare quanto sia necessario essere “vicini alla Chiesa, vicini a quel Cristo che noi predichiamo e rappresentiamo” e allo stesso tempo sia necessario andare lontano, più che possiamo, “come vanno i missionari nel mondo che ci circonda, nel mondo che si è staccato dalla fede e dalla vita cristiana”. Un impegno alla testimonianza attraverso la vita quotidiana, sia personale che associativa, senza retorica e moralismo che possono essere occasione di farisaismo e superbia e da cui è bene rifuggire.

L'entusiasmo della testimonianza

Potrei andare oltre nel resoconto della relazione presidenziale, ma probabilmente non aggiungerei niente di più decisivo. In realtà, non è solo dalle parole del Presidente che ho appreso qualcosa di importante. Gli sguardi che, come il mio, erano rivolti al palco da cui il Presidente ci parlava trasudavano un meraviglioso sentimento: l'entusiasmo di chi può attingere ad una sorgente inesauribile di gioia e misericordia. In quei momenti, ciò che di veramente indescrivibile e unico mi è capitato è stato quel sentirmi “parte” di un entusiasmo più grande, quello della testimonianza della Parola di vita, da cui mi sono sentito veramente “salvato”.

Ce ne saranno tanti altri, ma in questo io ho visto il primo vero carisma dell'Azione Cattolica: nel saper annunciare la Buona Novella con la commovente tenerezza di chi dice al suo fratello “non sei lontano dal regno del cieli, ce la puoi fare anche tu!”.

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